giovedì 31 luglio 2014

"Belmiele e Belsole": una lettura rogersiana

Immagine dal web

"C'era una volta un padre , padre di due figli, un figlio maschio e una figlia femmina, e tanto erano belli e biondi che il maschio si chiamava Belmiele e la femmina Belsole. Di mestiere quest'uomo era Maestro di casa alla Corte del Re, e siccome il Re stava in un altro Paese, a lui toccava star lontano dai suoi figli. Il Re, che non li aveva mai visti, sentendone tanto vantare la bellezza disse al Maestro di casa: - Giacché avete un figlio tanto bello, fatemelo venire qui a Corte, lo farò paggio.
Il padre andò a prendere il maschio e lasciò la figlia con la Balia; BeBelmiele diventò paggio del Re, e il Re l'aveva molto in simpatia e anche quando il Maestro di casa venne a morire, continuò a tenerlo come paggio nel palazzo, anzi gli affidò l'incarico molto di fiducia di spolverare i quadri nella sua quadreria. Spolverando i quadri, Belmiele si fermava ogni volta ad ammirarne uno di donna, e il Re lo sorprendeva sempre lí incantato col piumino in mano.
-Che hai da guardare quel ritratto?
-Maestà, questo ritratto è la vera immagine di mia sorella Belsole.
-Non ti credo, Belmiele. Ho fatto cercare in tutto il mondo una donna che somigli a quel ritratto e non l'ho trovata. Se tua sorella è cosí, falla venire qua e sarà mia sposa.
Belmiele scrisse alla balia che gli conducesse subito Belsole, perché il Re la voleva sposare, e attese. Questa balia, se non lo sapete ancora, aveva una figlia piú brutta della fame, e a vedere la bellezza di Belsole, schiattava d'invidia. Ricevuto l'ordine da Belmiele, si mise in viaggio con Belsole e la sua figlia brutta; era un viaggio per mare e montarono tutte e tre su una barca.
Sulla barca, Belsole s'addormentò. E la balia cominciò a dire: - Guarda un po' cosa si deve vedere! Adesso questa qui se ne va a sposare il Re! Proprio a lei, deve capitare, questa fortuna! Non sarebbe meglio che si sposasse mia figlia, il Re?
- Magari! - disse la figlia,
E la madre: - Lascia fare a me, che a questa smorfiosa non gliela perdono.
Intanto si svegliò Belsole e disse: - Balia mia, ho fame.
    - Io ci ho pane e salacche, ma non bastano neanche per me
    - Sii buona, balia, dammene un pezzetto.
Allora quell'infame le diede un po' di pane e salacche che era quasi tutto salacche e niente pane. Cosí le venne una sete tremenda; poverina, non ne poteva piú, e disse alla balia: - Balia mia, ho sete!
E l'infame: - Acqua ne ho appena appena; se vuoi ti do acqua di mare.
Quando si senti mancare il fiato, Belsole disse: - Dammi anche acqua di mare, - ma, dopo un sorso, senti piú sete di prima.
- Balia, ho ancor piú sete!
E quella cannibale: - Adesso ti do io da bere! - L'agguantò per la vita, e punfete! la cacciò in mare.
Per il mare passava una balena. Vide Belsole in acqua, e l'inghiottí.
La balia arrivò al porto del Re e Belmiele era sul molo,, ansioso d'abbracciare sua sorella. E vede invece quella brutta grinta vestita già da sposa. Gli cascarono le braccia: - Ma come? È- questa, mia sorella? Mia sorella con gli occhi come stelle? Mia sorella con la bocca come un fiore?
-Ah, figlio mio, sapessi, - disse la balia, - la gran malattia che ha passato; in pochi giorni, cosí è diventata.
S'avanzò il Re. - Ah, è questa dunque la bellezza che mi vantavi? È questa la giovane bella come il sole? Mi pare un uccelletto cacanido! Sono stato un bel bue a crederti e a darti parola di sposarla! Ora parola di Re non si può smentire, e mi tocca prenderla in moglie. Ma tu, paggio dei miei stivali, da quest'oggi cambierai mestiere e te ne andrai a guardar le papere.
Cosí il Re sposò la figlia della balia, ma la trattava in un modo che invece d'una sposa pareva avesse uno straccio da cucina.
Belmiele intanto portava a pascolare le papere in riva al mare. Si sedeva sulla spiaggia, guardava le papere nuotare, e pensava alle sue disgrazie, a Belsole come se la ricordava e come non era riuscito piú a ritrovarla. Ed ecco che sentí una voce dal fondo del

- O balena, mia balena,
Allunga allunga questa tua catena
Per arrivare alla spiaggia del mare
Ché il fratel mio Belmiel mi vuoi parlare.
Belmiele non riusciva a immaginarsi cosa potesse voler dire quella voce, quand'ecco che dal fondo del mare sorse fuori una bellissima fanciulla con un piede incatenato, una fanciulla che somigliava tutta, anzi si sarebbe detto che fosse, anzi era lei di sicuro, era sua sorella Belsole piú bella che mai.
- Sorella mia, come mai sei qui?
-Sono qui per tradimento della balía, fratello mio, - e gli raccontò la sua storia, e intanto gettava oro e perle come becchíme per le papere.
-Che mi dici, sorella mia? - trasecolava il povero Belmiele. - È, la balía che m'ha buttata in mare e al mio posto ha messo sua figlia, - diceva Belsole e ornava le papere di fiocchi colorati.
Veniva sera e il mare diventava nero. - Arrivederci, fratello, - disse Belsole e affondò a poco a poco, tirata dalla catena che finiva nel mare.
Belmiele radunò le papere tutte infiocchettate e prese la via del ritorno lungo la spiaggia. E le papere:

Crò! Crò! Dal mar veniamo,
D'oro e perle ci cíbiamo.
Belsole è bella, bella come il sole,
E l'amerebbe il Re nostro padrone.

La gente che passava le stava a sentire e restava a bocca aperta: mai s'erano sentite papere cantare a quel modo. La sera, nel pollaio reale, le papere, invece d'addormentarsi, continuavano tutta la notte:

Crò! Crò! Dal mar veniamo,
D'oro e perle ci cibiamo.
Belsole è bella, bella come il sole,
E l'amerebbe il Re nostro padrone.

Le senti uno sguattero, e l'indomani andò a dire al Re che le papere che erano state al pascolo con Belmiele, per tutta la notte avevano fatto quel verso. Il Re, dapprima stette a sentire distratto, poi sempre piú interessato, e alla fine decise che avrebbe seguito Belmiele senza farsi accorrere quando lui portava al pascolo le papere.
Si nascose tra le canne e senti la voce dal fondo del mare.

0 balena, mia balena,
Allunga allunga questa tua catena
Per arrivare alla spiaggia del mare
Ché il fratel mio Belmiele mi vuol parlare.

E dal mare venne fuori la ragazza col piede incatenato e nuotò fino alla riva. A vederla cosí bella il Re uscí dalle canne, dicendo: - Tu sí sei la mia sposa! - e si conobbero, e insieme a Belmiele studiarono il modo di liberarla dalla balena che la teneva incatenata. Il Re e Belmiele presero uno scoglio che pesava piú o meno quanto Belsole, segarono la catena, e legarono alla catena lo scoglio, Il Re prese sottobraccio Belsole e se la portò alla reggia: dietro veniva Belmiele col corteo delle papere, che cantavano:

Crò! Crò! Dal mar veniamo,
D'oro e perle ci cibiamo.
Belsole è bella, bella come il sole,
È, la sposa del Re nostro padrone.

La balia e sua figlia, appena sentirono questo canto e videro arrivare il corteo, presero la fuga dal palazzo, e nessuno le ha mai piú viste.

(Roma)



Ho scelto questa fiaba popolare romana, raccolta da Gigi Zannazzo (1907, "Novelle, favole, e leggende romanesche") e da, successivamente, da Italo Calvino (1993, Vol. II), in quanto ai miei occhi è un buon esempio di una lettura fiabesca Centrata sulla Persona.
In tal senso, il personaggio di Belmiele può ben rappresentare ciò che nell'Approccio Rogersiano intendiamo "Sè ideale" o "Falso Sé", ovvero la parte della nostra personalità tendente al raggiungimento di scopi, ideali e valori che non nascono dalla saggezza profonda del proprio sentire e dal proprio essere (saggezza organismica, Rogers, 1951), ma che rispecchiano le aspettative del mondo esterno, in questo caso rappresentato dal personaggio prima del padre e poi da quello del Re: è infatti il padre, prima a decantare la bellezza dei figli, ed è il Re, poi, che domanda di Belsole, richiedendo una prova della sua bellezza e Perfezione al fidato Belmiele. Belmiele cade così nella trappola di dover soddisfare il suo ideale di perfezione (essere accettato ed ammirato dal Re), chiedendo a Belsole di far sfoggio solo della propria bellezza. Chi è infatti Belsole? La ragazza può simboleggiare ciò che definiamo la nostra individualità e soggettività, la nostra verità più profonda, il nostro "Vero Sé": la nostra autenticità ed unicità, la nostra bellezza, ma anche la nostra "bruttezza" (La Figlia Brutta), i nostri vari aspetti del Sé, che se non bene integrati e correttamente simbolizzati nella loro complessità, ovvero se Belsole non incontra ed accetta la "bruttezza" della sorellastra, quindi le emozioni e dei vissuti più spiacevoli (gioia ma anche dolore, felicità ma anche tristezza, serenità ma anche rabbia....), cadrà vittima della perfida Balia, ossia di una profonda subcezione, distorsione e negazione dell'esperienza nella sua totalità: Belsole, infatti, sin dall'inizio è separata dalla sua controparte ed affidata alla Balia stessa. L'incongruenza (Rogers, 1951) dei diversi livelli di esperienza farà sì, allora, che la distanza tra il Vero sé (l'unione tra Belsole e la Figlia Brutta) ed il Sé Ideale (Blemiele) sia sempre più ampia e che la propria verità anneghi in alto mare, tano che lo stesso Belmiele per lungo tempo non riuscirà a ricongiungersi con lei, la cui conseguenza potrà declinarsi in sofferenza mentale, attraverso vissuti di ansia, depressione o Crisi Esistenziali e attraverso una percezione di Sé dolorosamente fratturata e scissa, dove la paura del giudizio esterno prenderà il sopravvento sulla nostra autostima. Solo nel momento in cui riusciremo con pazienza, coraggio, determinazione e inevitabile dolore (Belmiele, per punizione del Re cambierà mestiere e diventerà un umile guardiano delle oche) a esplorare tutti la nostra complessità, i nostri ideali e vissuti, e quando riusciremo ad accettare con empatia, congruenza e accettazione (Rogers, 1957) i nostri umani limiti, allora potremo riemergere dalle nostre tempeste interiori (il mare dove è spofondata Belsole) e simbolizzare correttamente la nostra totalità, per riscoprire la nostra unica, irripetibile e soggettiva Tendenza Attualizzante (Rogers, 1980), in termini di ricerca passionale e deisderante delle proprie soddisfazioni personali.