giovedì 5 maggio 2016

Fiabe e Timidezza: un aiuto per facilitare la congruenza nel bambino

Ormai è risaputo che i libri aiutano. Anzi, oserei dire che i libri, come la scrittura creativa, riflessiva e solitaria salvano. Salvano dall'alienazione, dal senso di esclusione, dalla percezione dii una bassa autostima, donando una prezioso e profondo significato alla storia personale, al "chi sono veramente": perché sono io il protagonista, anzi il mio Sé più autentico, della mia Storia, della mia soggettività e nessun altro. Nello specifico, le fiabe, in termini sia di una loro lettura, nonché di una loro scrittura creativa o inventiva, permettono di entrare in quello che Brené Brown definisce "spazio sacro", ossia in un rispettoso ascolto di se stessi, in modo empatico ed accettante. Le fiabe permettono, infatti, di identificarsi con quei protagonisti del racconto che hanno la caratteristica di non essere sempre vincenti. Infatti, oltre alla principessa, al principe, leggiamo di streghe, orchi, mostri, che donano un contributo fondamentale per il lieto fine: senza di essi l'eroe o eroina del racconto non potrebbe raggiungere la sua meta ed il suo desiderio. Non dimentichiamo inoltre quelle fiabe che parlano proprio di diversità: il Brutto Anatroccolo, La Regina di Ghiaccio, la Bestia de la Bella e la Bestia, il Gatto con gli Stivali, Testa di Bufala, il Principe ed il Ranocchio... Il mettersi nei panni anche di queste figure permette al bambino di, prima comprendere che non esistono solo il bello, la bontà, il successo, ma anche il loro contrario e che questo contrario ha piena legittimità di esistere, in quanto insieme sono complementari. Inoltre, apprende che questa ambivalenza è dentro ognuno di noi. Accettare l'ambivalenza è un primo passo per allenare la propria congruenza (Rogers 1957; 1962), ovvero la capacità di entrare in contatto con tutti i nostri vissuti, anche quelli più scomodi, riducendo il rischio di proiettarli sull'altro. Perché questo è importante per il bambino? Nello specifico per quei bambini considerati "troppo" timidi, introversi e sensibili? Iniziamo da una premessa: la timidezza, ossia quel temperamento caratterizzato da riservatezza, introversione, ritrosia e senso di vergogna, non è vista di buon occhio dalla nostra società. In una società vincente, prestazionale, caratterizzata da alti tassi di bullismo verso ciò che è considerato diverso e perdente, i timidi fanno molta fatica ad essere accettati per la loro natura: quando vediamo un bimbo che si vergogna, che ha paura a mostrarsi, che tende a parlare poco, abbiamo sempre la tentazione di "scuoterlo", ossia di anticipare i suoi bisogni e le sue richieste, di essere direttivi, di non attendere sua fioritura, di criticarlo nella sua unica diversità e soprattutto di paragonarlo a chi appare più estroverso e sicuro di sé. Non dimentichiamo, inoltre, che il bambino timido è anche un bambino sensibile: spesso questi bimbi hanno sviluppato, infatti, una ipersensibilità sensoria ed emotiva, verso gli stimoli esterni. Da un punto di vista emotivo riescono ad entrare, molto profondamente, in contatto con le altre persone, percependone il loro stato emozionale del momento. Possiamo fare l'esempio del bambino che, suo malgrado, come ben descritto da Alice Miller, diviene l'"antenna sensibile" della famiglia, in quanto dotato di lettura profonda dell'altro, soprattutto nei momenti di difficoltà (il bambino che consola la mamma quando è triste, dimenticandosi, però, del suo diritto ad essere protetto e supportato). Sono bambini accettati condizionatamente, ossia a condizione che esaudiscano i nostri tempi, i nostri bisogni ed i nostri desideri, attraverso messaggi giudicanti verso il loro modo di essere unico ed irripetibile. In altre parole, tendiamo a vedere nel bambino timido, o meglio a proiettare in lui, le nostre insicurezze, mancanze, errori e biasimi, non facilitando in tal modo in lui lo sviluppo di una propria e soggettiva Tendenza Attualizzante (Rogers, 1051): il bambino impara ben presto che non può avere fiducia in ciò che è veramente, in tutte le sue sfumature esistenziali, ma che, per essere amato e non abbandonato, deve rinnegare la sua vera natura ed adeguarsi alle richieste degli adulti: "Devi essere come dico io". In tal senso, nell'educazione si dimentica spesso, la distinzione tra l'accettazione incondizionata dell'essere della Persona e l'eventuale non accettazione del suo comportamento. In termini pratici, con i bambini timidi si tende a confondere i due piani. L'essere del bambino viene giudicato come un comportamento sbagliato. "Non essere timido! Muoviti! Parla di più! Perché ti vergogni? Perché piangi sempre?" divengono giudizi senza appello, macigni di vergogna per il bimbo, il quale inizierà ad apprendere che le doti della timidezza, come la riservatezza, la capacità introspettiva e di ascolto, sono da biasimare. Il risultato sarà una distorsione della propria vera essenza, attraverso lo sviluppo di un Falso Sé, caratterizzato da falsa sicurezza interiore, nato per compiacere chi gli sta intorno. Allora la fiaba, soprattutto grazie alla presenza di quei personaggi
percepiti nell'immaginario come diversi, permette al bambino, all'interno di un tempo protetto, riservato e, soprattutto, rispettoso dei suoi tempi, non solo di integrare in modo autentico ed empatico, i lati di sé che non accetta, ma gli permette di drammatizzare e simbolizzare correttamente la  rabbia e la paura, legate al rifiuto ed alla non accettazione. Impara, insomma, che la Bella e la Bestia è dentro di ognuno di noi.