La consulenza educativa consiste in uno specifico percorso (max 6/8
sedute), atto, in primo luogo, ad accogliere il malessere del bambino
riportato dai genitori, e, soprattutto, di osservare, attraverso un
ascolto, empatico, non giudicante ed autentico, come questo malessere,
sotto forma di specifico sintomo, vada a collocarsi all'interno delle
dinamiche familiari e di coppia. In parole concrete, sovente i sintomi
del bambino, spesso fonte di angoscia per i genitori, sono portatori di
significati circa una particolare modalità comunicativa, affettiva e
relazionale che caratterizza, in modo non funzionale, quel nucleo
familiare, in modo soggettivo ed irripetibile. Ad esempio, un bambino
bloccato nelle sue paure, potrebbe aver appreso, in modo inconsapevole,
come questa emozione, se espressa in modo fobico, possa far sì che i
genitori non si separino da lui. O, al contrario, sempre come ipotesi,
la paura/ fobia potrebbe essere un messaggio per genitori troppo
iperprotettivi, che tendono a pressare il bambino emotivamente,
lasciandogli poco spazio di sana autonomia. In altri termini, questo
piccolo esempio vuole mostrare come un sintomo possa portare con sé
determinati significati all'interno di relazioni familiari e di coppia. In tal senso, scopo della consulenza educativa è quello di offrire uno
spazio di ascolto, non solo per i genitori, ma anche per il bambino
stesso: lo spazio accogliente e sicuro permette al bimbo di sperimentare
e dar voce al proprio malessere, attraverso il proprio peculiare
linguaggio, fatto non solo di parole, bensì di strumenti di
comunicazione per lui più confacenti, perché più concreti e fruibili,
ma, allo stesso tempo, ad altro contenuto simbolico e proiettivo, delle
proprie angosce: disegni, fiabe, pupazzi, marionette... Tutti oggetti
che possono essere modellati e, soprattutto, fatti parlare, fatti
emozionare. Preziosi oggetti transizionali per il bambino,
soprattutto
per quei bambini più spaventati, bloccati o estremamente timidi. Da qui,
è importante che lo psicologo divenga esso stesso oggetto e
contenitore di quei pensieri ed emozioni, così difficili da pensare,
sperimentare e nominare. Diviene imprescindibile, allora, una capacità
di regressione, di contaminazione e di apertura verso queste paure,
perché parlano del terapeuta stesso. Se, infatti, questi si sentisse a
disagio rispetto a determinati vissuti, il bambino non potrebbe sentirsi
sicuro nell'esplorarli a sua volta. Inoltre, l'aspetto che mi preme
sottolineare è che, spesso, i genitori portano in seduta profondi
sentimenti di inadeguatezza e di colpa rispetto a ciò che sta succedendo
loro, accompagnati da senso di smarrimento e di impotenza: il
sintomo è visto come un perturbante, che provoca ansia, una triste
novità, una crepa incomprensibile, rispetto al proprio pregresso
equilibrio o al proprio precedente stato di coerenza interna, (Rogers, 1951) familiare nonché di coppia.
Il terapeuta, allora, ha il compito di facilitare il "canto" del
sintomo, ciò che ha da dire, al fine di poterne restituire il contenuto
ai genitori che hanno chiesto aiuto, poiché per loro indecifrabile:
potere restituire un senso alla coppia genitoriale, privo di
colpevolizzazioni, permette ai genitori di comprendere il perché di ciò
che sta avvenendo, facilitando in loro
l'apprendimento di nuove modalità relazionali, più funzionali, all'interno della famiglia