C'è una bellissima poesia di Gibran "I Vostri Figli", dove l'aggettivo "Vostri" sta ad indicare tutto, fuorché, un aggettivo possessivo, a differenza di come se ne potrebbe dedurre in apparenza. "Vostri" intesi come, sì nati da noi, ma non in nostro possesso. La bellezza di questa poesia sta proprio nel sottolineare l'importanza di considerare un figlio come entità separata. Come, ci insegna Rogers, un essere unico ed irripetibile. E considerare il proprio figlio come persona con i suoi valori, sentimenti, pensieri, profondamente soggettivi, comporta, da parte del genitore, di mettersi in discussione rispetto alla sua modalità educativa e di facilitazione dello sviluppo della Tendenza Attualizzante (Rogers, 1951) del bambino. Da qui, quanto un genitore possiede quella che l'Autore definisce "congruenza" o autenticità nella relazione? (Rogers, 1961). Ma che significa, da un punto di vista educativo, congruenza? Questa domanda può sembrare retorica per gli addetti ai lavori rogersiani, in quanto sappiamo come la capacità dell'individuo di entrare in contatto con la propria esperienza organismica sia trasversale a tutti i campi delle Relazioni di Aiuto: da quello prettamente clinico, a quello educativo e di gestione dei conflitti (ecco perché, dagli anni 60, si parlerà anche di Approccio Centrato sulla Persona). Tuttavia, il campo educativo è una sfera assai delicata perché comporta una grande responsabilità: la cura attenta e sensibile dello sviluppo bio - psico - sociale del bambino. L'infante può essere paragonato ad un germoglio: se gli do troppa acqua, rischio di farlo appassire, se gliene offro troppo poca, morirà. Fuori di metafora, se non ascolto con empatia, accettazione e, appunto, congruenza ciò che vuol trasmettere il bambino, non riuscirò come genitore a comprendere i suoi bisogni e desideri: il rischio è di anticipare, mettendo un tappo (saturare), ciò di cui necessita piuttosto che divenire sordo ai suoi richiami e non capire quando e come desidera essere supportato nel suo processo di crescita. Non riesco, insomma, a fermarmi in una posizione di ascolto, di sospensione, ma ho un bisogno impellente di agire e risolvere il problema. Per comprendere meglio faccio l'esempio del bambino che impara a camminare: se ho per prima paura che si faccia male, e non simbolizzo correttamente questa esperienza, non lo lascerò libero di sperimentare come "esperienza fresca e nuova" (ivi) e stimolante quella di imparare con le proprie gambe a camminare, con le inevitabili cadute e, se necessario, con dolore. Gli darò sempre la mano, gli dirò sempre "stai attento!", "Non ti sporcare!". Oppure, lo lascerò andare così lontano e rischierò che si faccia seriamente male, tanto da non sopportarne, davvero, il dolore. Andrò da un estremo di ipercura ad un altro di incuria. Da qui, la congruenza del genitore rispecchia il poter farsi da parte, il poter so -stare nell'incognita del "come andrà?", in modo attento e responsabile: un genitore che accompagnerà il suo bambino nel processo di autonomia, stando al suo fianco, né troppo davanti, né troppo addietro, nonostante si abbia naturalmente paura dell'imprevedibilità.

© Francesca Carubbi