Venerdì 6 aprile 2018, dalle 18:30 alle 20, presso Studio Daimon, via B. Croce 1/a, Fano, si terrà l'incontro aperto e gratuito "Fiabe ed Infanzia: il racconto come strumento educativo". L'incontro è adatto anche ai bambini.
Modalità di iscrizione:
- telefonando al 3384810340;
- inviando una mail a info@psicologafano.com, con oggetto "ISCRIZIONE FIABE ED INFANZIA"
- Compilando la scheda in allegato.
NOTA IMPORTANTE:
Chi volesse partecipare con i propri figli, non deve compilare una scheda a parte, ma solo comunicarlo al momento dell'iscrizione.
Dato lo spazio disponibile, lo Studio può contenere un massimo di 12 persone, compresi i bambini.
(nel caso in cui pervenissero più iscrizioni, si organizzerà un secondo appuntamento)
venerdì 30 marzo 2018
venerdì 23 febbraio 2018
Incontro aperto: "Fiabe ed Infanzia. Il Racconto come strumento educativo"

Si accede all'incontro previa iscrizione (massimo 10 partecipanti)
Per info e iscrizioni:
Dott.ssa Francesca Carubbi
338/4810340
info@psicologafano.com
L'evento su Facebook
Fiabe ed Infanzia su Facebook
© Francesca Carubbi
Dott.ssa Francesca Carubbi
psicologa - psicoterapeuta
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lunedì 19 febbraio 2018
I diritti psicologici dei bambini

Come ci ha insegnato Rogers (1951), infatti, il bambino sa discernere, per ciò che concerne la libertà esperienziale, ciò che è piacevole, sano e giusto per il suo sviluppo, da ciò che non lo è, grazie alla sua capacità di simbolizzazione corretta e non alienante dei propri bisogni (ivi). Un ambiente, quindi, che sa rispettare l' esperienza totale del bambino, comprese le sue tappe di sviluppo, è un ambiente capace di promuovere e facilitare, in questi, maggiore autenticità nell'ascolto del proprio organismo, offrendo, allo stesso tempo, anche sani ed autorevoli limiti a quei comportamenti che non facilitano la congruenza, ma che diventano, al contrario, ostacoli all'autoregolazione. Il bambino, infatti, per sviluppare il rispetto di sé e degli altri, necessita di apprendere dall'esperienza che l'ambiente in cui vive non offre solo aspetti di soddisfazione, ma anche di frustrazione. Che non esistono solo belle emozioni, ma anche quelle che ci fanno sentire arrabbiati, tristi ed addolorati. Ma che, come le altre, anche queste hanno dignità di esistere. E che non tutto è permesso. In tal senso se al bambino non si offre il diritto di discernere ed apprendere anche dagli ostacoli inevitabili che l'esperienza offre, difficilmente potrà acquisire e sviluppare una propria bussola interna di scelta libera e responsabile. Da qui, Rogers (1980), fedele alla filosofia e pedagogia di Dewey, ha sempre pensato che "i fatti sono amici" e fedeli compagni di una maturazione responsabile di sé. Ma i fatti a cui si riferisce Rogers sono rappresentati anche dallo stile educativo - relazionale che poniamo noi adulti. Da qui, i bambini hanno il pieno diritto di vivere e sperimentare un ambiente che non li confonda, che li possa accompagnare, senza sostituirsi ad essi, anticipando loro bisogni, che sappia rispettare i loro confini psico - emotivi e corporei e che non ceda alla tentazione di pensare il bambino come un piccolo adulto o come un narcisistico prolungamento di sé (il caso, ad esempio, dell'inversione dei ruoli). In tal senso, il bambino ha il diritto di:
1. Poter ascoltare ed esprimere, in modo libero e responsabile, la propria esperienza interiore: concretamente il bambino ha il diritto di esprimere in modo autentico le proprie emozioni e le proprie idee senza il pericolo di reificazione e di delegittimazione da parte dell'adulto;
2. Poter godere di un ambiente facilitante al suo sviluppo, quindi un ambiente autorevole: il bambino ha il diritto di essere accettato ed ascoltato, evitando forme di comunicazione che deridono e sminuiscono il suo sentire. Il bambino ha anche il diritto che al suo fianco ci sia un genitore sufficientemente autentico, ossia in contatto con la propria esperienza organismica; che non finga, in altri termini, di provare certe emozioni anche quelle considerate più scomode e che possa esprimerle, senza proiettarle sul bambino. Il bambino ha anche il diritto di avere dei limiti al suo comportamento, quando necessario;
3. Poter sentirsi protetto ed al sicuro: il bambino ha il diritto di vivere in un ambiente non confuso, imprevedibile, traumatico e ad alta e costante conflittualità;
4. Poter fare errori, e non sentirsi, per questo, indegno e sbagliato;
5. Poter sentirsi bambino e non il sostituto di un ruolo adulto vacante (ciò che Alice Miller - 1979 - definisce l'antenna sensibile" della famiglia, ossia la spugna assorbente dei drammi familiari) o servire a soddisfare i bisogni narcisistici del genitore;
6. Poter sentire i propri confini identitari intatti e rispettati: il bambino deve apprendere e sentire che ci sono confini e spazi definiti, che ha un ruolo chiaro e non confuso all'interno della famiglia. Ma affinché avvenga questo, i genitori, per primi, devono comunicare ed incarnare in modo chiaro il loro ruolo, non solo come genitori ma anche come coppia ed, in caso di conflitti o separazioni, non devono coinvolgere emotivamente il bambino in inutili e dannose sofferenze e diatribe, che non gli competono (ad esempio, chiedendo al bambino chi preferisce dei due, o ricattandolo emotivamente);
7. Poter direzionare le proprie scelte di vita verso forme proprie di Autorealizzazione: deve sentirsi supportato nella propria Tendenza Attualizzante ed attitudini personali.
8. Poter sentirsi un bambino e vivere come tale. Punto.
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Dott.ssa Francesca Carubbi
psicologa - psicoterapeuta
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giovedì 15 febbraio 2018
lunedì 20 novembre 2017
"Libertà di esistere" vs modellamento genitoriale
Prendo spunto dal capitolo, contenuto in On Becoming a Person (1961), dal titolo "Le caratteristiche di una relazione di aiuto", dove Rogers descrive i propri apprendimenti circa la qualità degli atteggiamenti, all'interno delle relazioni umane. In questo scritto, troviamo un Rogers che si interroga, in modo autentico, rispetto a cosa significhi facilitare nella Persona la sua Tendenza Attualizzante (1951; 1980), ossia la sua direzione esistenziale, aperta all'esperienza. Ma non ad un'esperienza riferita ad una realtà oggettivamente univoca, dai significati identici per tutti (1980), ma caratterizzata da una sua costruzione unica ed irripetibile, profondamente soggettiva: "Posso dargli la libertà di esistere?" Oppure sento che dovrebbe seguire i miei consigli, rimanere in qualche modo dipendente da me, modellarsi su di me?" (Rogers, 1961, trad. It. pag., 82). Questa, credo che sia una domanda molto importante da porsi come genitori ed educatori. Fermo restando che la dipendenza sia essenziale ed indispensabile, affinché il cucciolo d'uomo non solo sopravviva ma venga investito d'amore, in questo capitolo Rogers descrive, al contrario, quella dipendenza intesa come pericolo di modellamento e manipolazione dell'Altro, secondo propri desideri e bisogni: la dipendenza, qui, è un fine (quello di rendere il bambino accondiscendente e responsivo ai miei bisogni esistenziali e di riconoscimento, con un grave danno alla sua capacità di scelta, libera e responsabile) e non più uno strumento di accompagnamento, di "holding" (Winnicott, 1960) per la sua preziosa acquisizione di autonomia. In tal senso, come genitori viene abbastanza naturale pensare che il nostro compito educativo sia trasmettere quei valori, costrutti e sentimenti che pensiamo essere giusti per i nostri figli. "Vorrei che lui o lei potesse avere quelle occasioni che io non ho avuto!", oppure, "Vorrei che mio figlio/a facesse questo o quello...". Quante volte abbiamo sentito o detto queste frasi, pensando, tout - court, che fossero equivalenti e sovrapponibili a quelli dei nostri figli. Ecco, l'errore che si compie spesso è pensare di dover plasmare i nostri ragazzi secondo criteri che sono nostri e che non nascono dalla loro saggezza interna. E sappiamo bene da dove derivi tutto ciò e quale sia, poi, il risultato: il bambino, per non perdere l'accettazione dei genitori, tende progressivamente a distorcere la sua esperienza viscerale (la propria Valutazione Organismica degli Eventi o il suo Locus of Evalutation Interno), intercettando e negando ciò che per lui è saggio e degno di scelta responsabile e libera, e facendo proprie le scelte altrui. Da qui, il suo Sé (Rogers, 1951) perde di spontaneità, irrigidendosi in modalità difensive e soprattutto collidenti con il volere genitoriale. Ma l'aspetto più importante sta nel fatto che questa "Struttura del Sé" (Rogers, 1951) che si va formandosi, servirà al bambino per mantenere un certo grado di coerenza interna, al fine di non percepire la discrepanza tra ciò che sente realmente (Saggezza Organismica - Vero Sé), che è negato e distorto, e tutto ciò che ha introiettato dagli altri significativi, ma che crede di sentire ed esperire come se fossero costruzioni proprie della realtà (Struttura del Sé). Per fare un esempio concreto, Rogers (1961) scrive di quello studente che ha paura di sostenere gli esami universitari, che si svolgono al terzo piano di un edificio universitario. Grazie ad un percorso di consulenza, scopre che la difficoltà a passare i test non deriva dalla sua paura/fobia di salire le scale ("giustificazione" che lo studente si è dato per conservare il suo grado di coerenza interna o immagine di sé, distorcendo, in tal senso, il significato viscerale dell'esperienza in termini, appunto, di fobia verso le scale), bensì dalla paura verso l'università; paura, d'altro canto, che non può ammettere a se stesso, in quanto in forte contrasto con il tentativo di preservare un'immagine di sé adeguata. Da qui, il sintomo ansioso diviene spia e significato di una paura molto più profonda e viscerale e, soprattutto, di un significato vero per il soggetto, o meglio per il suo organismo: forse questo studente ha imparato, per non perdere la stima genitoriale, ad amare qualcosa che per lui, tuttavia, non è profondamente confacente ai propri desideri. Quindi, come educatori è importante chiedersi, in modo sufficientemente autentico o congruente, quanto, attraverso ciò che diciamo e facciamo, l'Altro rischi di modellarsi a noi, perdendo, da qui, la propria bussola interiore.
© Francesca Carubbi
mercoledì 20 settembre 2017
Solide Radici e Fragili Rami: la congruenza genitoriale
C'è una bellissima poesia di Gibran "I Vostri Figli", dove l'aggettivo "Vostri" sta ad indicare tutto, fuorché, un aggettivo possessivo, a differenza di come se ne potrebbe dedurre in apparenza. "Vostri" intesi come, sì nati da noi, ma non in nostro possesso. La bellezza di questa poesia sta proprio nel sottolineare l'importanza di considerare un figlio come entità separata. Come, ci insegna Rogers, un essere unico ed irripetibile. E considerare il proprio figlio come persona con i suoi valori, sentimenti, pensieri, profondamente soggettivi, comporta, da parte del genitore, di mettersi in discussione rispetto alla sua modalità educativa e di facilitazione dello sviluppo della Tendenza Attualizzante (Rogers, 1951) del bambino. Da qui, quanto un genitore possiede quella che l'Autore definisce "congruenza" o autenticità nella relazione? (Rogers, 1961). Ma che significa, da un punto di vista educativo, congruenza? Questa domanda può sembrare retorica per gli addetti ai lavori rogersiani, in quanto sappiamo come la capacità dell'individuo di entrare in contatto con la propria esperienza organismica sia trasversale a tutti i campi delle Relazioni di Aiuto: da quello prettamente clinico, a quello educativo e di gestione dei conflitti (ecco perché, dagli anni 60, si parlerà anche di Approccio Centrato sulla Persona). Tuttavia, il campo educativo è una sfera assai delicata perché comporta una grande responsabilità: la cura attenta e sensibile dello sviluppo bio - psico - sociale del bambino. L'infante può essere paragonato ad un germoglio: se gli do troppa acqua, rischio di farlo appassire, se gliene offro troppo poca, morirà. Fuori di metafora, se non ascolto con empatia, accettazione e, appunto, congruenza ciò che vuol trasmettere il bambino, non riuscirò come genitore a comprendere i suoi bisogni e desideri: il rischio è di anticipare, mettendo un tappo (saturare), ciò di cui necessita piuttosto che divenire sordo ai suoi richiami e non capire quando e come desidera essere supportato nel suo processo di crescita. Non riesco, insomma, a fermarmi in una posizione di ascolto, di sospensione, ma ho un bisogno impellente di agire e risolvere il problema. Per comprendere meglio faccio l'esempio del bambino che impara a camminare: se ho per prima paura che si faccia male, e non simbolizzo correttamente questa esperienza, non lo lascerò libero di sperimentare come "esperienza fresca e nuova" (ivi) e stimolante quella di imparare con le proprie gambe a camminare, con le inevitabili cadute e, se necessario, con dolore. Gli darò sempre la mano, gli dirò sempre "stai attento!", "Non ti sporcare!". Oppure, lo lascerò andare così lontano e rischierò che si faccia seriamente male, tanto da non sopportarne, davvero, il dolore. Andrò da un estremo di ipercura ad un altro di incuria. Da qui, la congruenza del genitore rispecchia il poter farsi da parte, il poter so -stare nell'incognita del "come andrà?", in modo attento e responsabile: un genitore che accompagnerà il suo bambino nel processo di autonomia, stando al suo fianco, né troppo davanti, né troppo addietro, nonostante si abbia naturalmente paura dell'imprevedibilità.

© Francesca Carubbi
mercoledì 13 settembre 2017
il bambino in un'ottica rogersiana: l'esempio della gassosa
Nella letteratura rogersiana, il bambino rappresenta la metafora dell'innata Saggezza Organismica, che sta alla base dell'autenticità o congruenza della persona. In "Terapia Centrata sul Cliente" del 1951, nel capitolo dedicato alla Teoria della Personalità, Rogers descrive così la capacità di attingere alla propria saggezza organismica, da parte del bambino: "Il bambino molto piccolo valuta senza incertezze...Egli valuta positivamente le esperienze vissute che lo arricchiscono e valuta negativamente le esperienze che invece lo minacciano o comunque non lo preservano e non lo arricchiscono" (ivi; trad. it., pag. 361). Un bambino, in altri termini, capace di simbolizzare correttamente la propria esperienza senza distorcerla. Tuttavia, la capacità di valutazione organismica del bambino risentirà, spesso in modo condizionato e negativo, dell'influenza dell'ambiente circostante. In tal senso, Rogers fu molto sensibile nel cogliere la profonda influenza dell'ambiente nello sviluppo del bambino: nel primo capitolo di "On Becoming a Person" del 1961, This is Me" (trad. it., - "La Terapia Centrata sul Cliente" "Questo sono io. Lo sviluppo del mio pensiero scientifico e della mia filosofia personale"), l'Autore, in modalità autobiografica, descrive come il suo ambiente, la sua educazione, le sue esperienze formative e di contatto umano, abbiano influito in modo preponderante nella sua filosofia delle relazioni umane e, da qui, nella sua visione della Persona. In tal senso, appare molto emblematico, per ciò che concerne la descrizione del rigido stile educativo in cui è vissuto, il ricordo riguardante la scoperta del piacere nel bere una gassosa: piacere, questo, percepito in modo trasgressivo! Quindi soggetto a biasimo e giudizio da parte dell'ambiente familiare. Come a dire: il piacere, ad esempio, di bere una bevanda gassata è vissuta dal bambino come un qualcosa di positivo e piacevole. Ma cosa succede se il bere una gassosa è concepito dai genitori come un qualcosa di peccaminoso e non accettabile? Ed è proprio la consapevolezza da parte del bambino di poter perdere l'amore genitoriale, che fa sì che questi inizi a fare "l'esperienza di parole e di azioni dei genitori a proposito di questi suoi comportamenti...che possono essere così parafrasate: <Sei cattivo, il tuo comportamento è cattivo e tu non sei amato o amabile quando ti comporti così>." Questi giudizi rappresentano un profondo senso di minaccia per il nascente Sé del bambino, in quanto creeranno, in questi, un conflitto interno: se, infatti, il bambino farà accedere alla coscienza la soddisfazione, in questo caso, di provare piacere nel bere una gassosa, questo consapevolezza organismica andrà in contrasto con i dettami e, soprattutto, valori genitoriali, come ad esempio: "la gassosa fa male, berla è un qualcosa di trasgressivo...". Da qui, nel bambino emergeranno due conseguenze (ivi, 1951):
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1. Verranno negate alla consapevolezza queste sensazioni piacevoli;
2. Ci sarà una simbolizzazione non corretta e distorta dei vissuti (dettami e valori) dei genitori: "la simbolizzazione corretta sarebbe la seguente: <Sento che i miei genitori stanno giudicando questo comportamento insoddisfacente per loro>. La simbolizzazione distorta, alterata allo scopo di preservare il concetto di sé minacciato è: <Io concepisco questo comportamento come insoddisfacente>".
Da qui, per non perdere l'accettazione da parte dei genitori, il bambino apprenderà progressivamente a far propri i valori della sua famiglia, i quali verranno vissuti come proprie sensazioni viscerali e organismiche e non come atteggiamenti dei propri genitori: si formerà così la Struttura del Sé, intesa come la "configurazione organizzata dalle percezioni del sé che possono accedere alla coscienza" (ivi; trad. it., pag. 363), ossia l'insieme delle proprie percezioni e delle rappresentazioni di sé, le quali si baseranno sui costrutti, valori, sentimenti, dettami e comportamenti dei genitori che vengono distorti in modo che vengano vissuti come propri (in tal senso, il bambino, prima, e l'adulto, poi, si sforzeranno di intercettare, negare e distorcere le esperienze provenienti dalla propria autentica valutazione organismica, perché minacciose per l'equilibrio o grado di coerenza interna del proprio Sé: se il bambino e l'adulto permettessero, in altri termini, di far emergere alla coscienza o di simbolizzare correttamente la propria esperienza vissuta, antitetica ai valori genitoriali, proverebbero un profondo stato di ansia, a causa della nascente incongruenza tra i vari stati del suo sentire).
Se, al contrario, il genitore offrisse una relazione caratterizzata da empatia, accettazione ed autenticità, la rappresentazione che il bambino ha di sé e l'esperienza organismica non sarebbero in conflitto, giacché sarebbero tra di loro sovrapponibili: prendendo l'esempio, di cui sopra, il bambino apprenderebbe, senza distorcerne il vissuto, di poter provare piacere nel bere una gassosa, senza paura di un rifiuto o biasimo genitoriale. La sua rappresentazione di sé, oltre a non sentirsi minacciata a causa di un conflitto di valori, sarebbe coerente con i suoi vissuti viscerali e quindi non costruita su distorsioni dei valori altrui e sulla loro conseguente introiezione.
Bibliografia essenziale
C.R. Rogers (1951), Client Centered Therapy, Houghton Mifflin Company Boston, (trad. it. La Terapia Centrata sul Cliente, La Merdiana, Molfetta (BA), 2007);
C.R. Rogers (1961), On Becoming a Person CAP. I, Houghton Mifflin Company Boston, (trad. it., La Terapia Centrata sul Cliente, Martinelli, Firenze, 1994)
© Francesca Carubbi
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