“ Chiedi, chiedi pure: sappi solo solo che alcune domande costano molto care: forse sarai più saggia, ma invecchierai in fretta!”
Queste parole appartengono a Baba Jaga. Alla Strega, metà buona e metà malvagia, della fiaba russa Vassilissa la Bella.
Baba Jaga è un personaggio che spaventa. Non solo per le sue fattezze obiettivamente terrificanti, ma per il fatto che offre, a chi sceglie arditamente di penetrare nel suo bosco e di so - stare nella sua Casa, la verità. L'autenticità. O meglio, la sua ricerca.
Ma si badi bene: una verità non di facile e immediata simbolizzazione (Rogers, 1951), anzi!
La congruenza (Rogers, 1957), simboleggiata dal cranio dagli occhi di fuoco donato a Vassilissa, presuppone, infatti, un processo di consapevolezza così profondo da apparire, perlomeno nelle fasi iniziali, pauroso e destabilizzante, a tratti anche deludente, a causa della rinnovata costruzione della realtà che comporta (Rogers, 1980).
Una realtà che porta dolore ma che, allo stesso tempo, appare necessaria per crescere. Per vivere.
In altre parole, il potere di svelamento del fuoco di Baba Jaga è così impattante che nel momento in cui “gli occhi del cranio si girarono [...] verso le due figlie ed esso le fissò così intensamente che cominciarono a bruciare! Avrebbero voluto nascondersi, ma non ci riuscirono: all'alba, delle tre donne, rimanevano solo le ceneri; solo Vassilissa si salvò.”
Se, allora, Baba Jaga è la verità mostruosa e straniera che chiede saggiamente asilo; il nostro sé alieno, ingombrante, disgustoso che non vorremmo vedere, Vassilissa, d'altro canto, rappresenta la nostra Saggezza Organismica (Rogers, 1957) che, nonostante il terrore di guardarsi allo specchio, accetta, in modo libero e responsabile (Rogers, 1951), di portare sulle proprie spalle il “fardello” di essere sé stessa (Rogers, 1961).
E, per essere tale, l'unico modo concesso a Vassilissa, per quanto possa apparire terribile, è quello di entrare in contatto con un essere orripilante quale la nostra Baba Jaga, che altri non è che la sua controparte rinnegata ed esiliata. Ma che, se non correttamente simbolizzata alla coscienza (Rogers, 1951), rischia di divorarla e annientarla: “Vassilissa, impaurita, si avvicinò alla vecchia donna, si inchinò in segno di rispetto e disse:
Signora sono io! Le mie sorrellastre mi hanno mandate da te per chiederti il fuoco.
Va bene, disse la Baba Jaga. Se tu resti qui e accetti di lavorare per me, ti darò il fuoco, altrimenti ti mangerò”
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