lunedì 23 agosto 2021

La paura della morte: un terribile mostro selvaggio. Come i libri possono facilitare la congruenza di emozioni difficili

Che cosa hanno in comune Maurice Sendak e Irvin Yalom?

Qual è il possibile “trait d’union” tra uno storico albo illustrato (Nel Paese dei Mostri Selvaggi, Adelphi Edizioni) e un’opera di divulgazione terapeutica (Fissando il sole. Come superare il terrore della morte. Neri Pozza Editore)?

Come utilizzare, in un’ottica di facilitazione alla congruenza (Rogers, 1951), o di educazione emotiva, queste due opere con adulti e bambini?

Per quanto all'apparenza dissimili, entrambi trattano, a modo loro, un tema estremamente delicato, quale quello della morte, con una delicatezza e una poesia straordinarie.

È vero: Sendak non parla esplicitamente di lutto, ma di mostri inquietanti e di un piccolo ma grande bimbo - Max - che riesce a domarli “con un trucco di magia: "li fissò dritto negli occhi senza batter ciglio e i mostri spaventati lo acclamarono il più selvaggio tra i selvaggi” (Sendak, 1963).

Come a dire: Max non è arretrato dinanzi alla paura ma ha attinto al suo lato selvaggio; lo ha abbracciato; lo ha così tanto accolto da trasformarlo in “Saggezza Organismica” (Rogers, 1951).

L’albo illustrato, in tal senso, non essendo "un genere, bensì una forma che interpreta, contiene e combina elementi di genere” (Terrusi, 2012, p. 122), si rivela un prodotto altamente fruibile, flessibile (ibidem), plasticamente adattabile per facilitare, soprattutto nel bambino, l’idea di un concetto inevitabilmente connaturato alla nostra esistenza ma, allo stesso tempo, quasi impossibile da accettare: quello della ineluttabile fine.

Il concetto della Morte appare, infatti, come un tabù: l’idea della finitudine è un qualcosa di così pauroso che cerchiamo in tutti i modi di distorcere e negare alla coscienza (Rogers, 1951).

Diverse persone, in altri termini, cercano di gestire la loro precarietà, di mantenere un certo grado di coerenza interna (Rogers, 1951), intesa come effimera onnipotenza personale, tramite uno stile di vita che definisco “maniacale”, ossia improntato su una vera e propria fuga verso la salute; verso uno stare bene a tutti i costi, dove il lutto - inteso come una proficuo lavoro sul dolore e sull'accettazione della mancanza - viene eliminato dall'esistenza.

Ma, come ci insegna Yalom, la paura della morte trova altre porte per entrare: una di queste è proprio il sintomo, che si insinua come un’angoscia strisciante ed annichilente (Yalom, 2021).

Così la paura della Morte si trasforma in un mostro selvaggio da cui fuggire, senza rendersi conto che è proprio l’affrontare questo terrore atavico - che fa parte di tutti noi - che ci permette, paradossalmente, di tornare a vivere. Questo perché “anche se la fisicità della morte ci distrugge, l’idea della morte ci salva” (Yalom, 2021, trad. it., p. 16).

Allora, per parafrasare Sendak (Sendak, 1963), solo nel momento in cui Max accetterà le proprie emozioni mostruose e indicibili, la propria parte straniera - che mette in atto attraverso comportamenti tipici di un “piccolo Re” prepotente - potrà, finalmente, entrare in contatto con la propria vulnerabilità e, da qui, con il desiderio di tornare a casa, anche se ciò significa, metaforicamente, navigare attraverso il proprio Sé per “intere settimane, per un anno e poco più. E un giorno ancora” (Sendak, 1963).

 Francesca Carubbi

Psicoterapeuta e Autrice

www.psicologafano.com

www.alpesitalia.it

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