lunedì 20 novembre 2017

"Libertà di esistere" vs modellamento genitoriale

Prendo spunto dal capitolo, contenuto in On Becoming a Person (1961), dal titolo "Le caratteristiche di una relazione di aiuto", dove Rogers descrive i propri apprendimenti circa la qualità degli atteggiamenti, all'interno delle relazioni umane. In questo scritto, troviamo un Rogers che si interroga, in modo autentico, rispetto a cosa significhi facilitare nella Persona la sua Tendenza Attualizzante (1951; 1980), ossia la sua direzione esistenziale, aperta all'esperienza. Ma non ad un'esperienza riferita ad una realtà oggettivamente univoca, dai significati identici per tutti (1980), ma caratterizzata da una sua costruzione unica ed irripetibile, profondamente soggettiva: "Posso dargli la libertà di esistere?" Oppure sento che dovrebbe seguire i miei consigli, rimanere in qualche modo dipendente da me, modellarsi su di me?" (Rogers, 1961, trad. It. pag., 82). Questa, credo che sia una domanda molto importante da porsi come genitori ed educatori. Fermo restando che la dipendenza sia essenziale ed indispensabile, affinché il cucciolo d'uomo non solo sopravviva ma venga investito d'amore, in questo capitolo Rogers descrive, al contrario, quella dipendenza intesa come pericolo di modellamento e manipolazione dell'Altro, secondo propri desideri e bisogni: la dipendenza, qui, è un fine (quello di rendere il bambino accondiscendente e responsivo ai miei bisogni esistenziali e di riconoscimento, con un grave danno alla sua capacità di scelta, libera e responsabile) e non più uno strumento di accompagnamento, di "holding" (Winnicott, 1960) per la sua preziosa acquisizione di autonomia. In tal senso, come genitori viene abbastanza naturale pensare che il nostro compito educativo sia trasmettere quei valori, costrutti e sentimenti che pensiamo essere giusti per i nostri figli. "Vorrei che lui o lei potesse avere quelle occasioni che io non ho avuto!", oppure, "Vorrei che mio figlio/a facesse questo o quello...". Quante volte abbiamo sentito o detto queste frasi, pensando, tout - court, che fossero equivalenti e sovrapponibili a quelli dei nostri figli. Ecco, l'errore che si compie spesso è pensare di dover plasmare i nostri ragazzi secondo criteri che sono nostri e che non nascono dalla loro saggezza interna. E sappiamo bene da dove derivi tutto ciò e quale sia, poi, il risultato: il bambino, per non perdere l'accettazione dei genitori, tende progressivamente a distorcere la sua esperienza viscerale (la propria Valutazione Organismica degli Eventi o il suo Locus of Evalutation Interno), intercettando e negando ciò che per lui è saggio e degno di scelta responsabile e libera, e facendo proprie le scelte altrui. Da qui, il suo Sé (Rogers, 1951) perde di spontaneità, irrigidendosi in modalità difensive e soprattutto collidenti con il volere genitoriale. Ma l'aspetto più importante sta nel fatto che questa "Struttura del Sé"  (Rogers, 1951) che si va formandosi, servirà al bambino per mantenere un certo grado di coerenza interna, al fine di non percepire la discrepanza tra ciò che sente realmente (Saggezza Organismica - Vero Sé), che è negato e distorto, e tutto ciò che ha introiettato dagli altri significativi, ma che crede di sentire ed esperire come se fossero costruzioni proprie della realtà (Struttura del Sé). Per fare un esempio concreto, Rogers (1961) scrive di quello studente che ha paura di sostenere gli esami universitari, che si svolgono al terzo piano di un edificio universitario. Grazie ad un percorso di consulenza, scopre che la difficoltà a passare i test non deriva dalla sua paura/fobia di salire le scale ("giustificazione" che lo studente si è dato per conservare il suo grado di coerenza interna o immagine di sé, distorcendo, in tal senso, il significato viscerale dell'esperienza in termini, appunto, di fobia verso le scale), bensì dalla paura verso l'università; paura, d'altro canto, che non può ammettere a se stesso, in quanto in forte contrasto con il tentativo di preservare un'immagine di sé adeguata. Da qui, il sintomo ansioso diviene spia e significato di una paura molto più profonda e viscerale e, soprattutto, di un significato vero per il soggetto, o meglio per il suo organismo: forse questo studente ha imparato, per non perdere la stima genitoriale, ad amare qualcosa che per lui, tuttavia, non è profondamente confacente ai propri desideri. Quindi, come educatori è importante chiedersi, in modo sufficientemente autentico o congruente, quanto, attraverso ciò che diciamo e facciamo, l'Altro rischi di modellarsi a noi, perdendo, da qui, la propria bussola interiore. 

© Francesca Carubbi


mercoledì 20 settembre 2017

Solide Radici e Fragili Rami: la congruenza genitoriale

C'è una bellissima poesia di Gibran "I Vostri Figli", dove l'aggettivo "Vostri" sta ad indicare tutto, fuorché, un aggettivo possessivo, a differenza di come se ne potrebbe dedurre in apparenza. "Vostri" intesi come, sì nati da noi, ma non in nostro possesso. La bellezza di questa poesia sta proprio nel sottolineare l'importanza di considerare un figlio come entità separata. Come, ci insegna Rogers, un essere unico ed irripetibile. E considerare il proprio figlio come persona con i suoi valori, sentimenti, pensieri, profondamente soggettivi, comporta, da parte del genitore, di mettersi in discussione rispetto alla sua modalità educativa e di facilitazione dello sviluppo della Tendenza Attualizzante (Rogers, 1951) del bambino. Da qui, quanto un genitore possiede quella che l'Autore definisce "congruenza" o autenticità nella relazione? (Rogers, 1961). Ma che significa, da un punto di vista educativo, congruenza? Questa domanda può sembrare retorica per gli addetti ai lavori rogersiani, in quanto sappiamo come la capacità dell'individuo di entrare in contatto con la propria esperienza organismica sia trasversale a tutti i campi delle Relazioni di Aiuto: da quello prettamente clinico, a quello educativo e di gestione dei conflitti (ecco perché, dagli anni 60, si parlerà anche di Approccio Centrato sulla Persona). Tuttavia, il campo educativo è una sfera assai delicata perché comporta una grande responsabilità: la cura attenta e sensibile dello sviluppo bio - psico - sociale del bambino. L'infante può essere paragonato ad un germoglio: se gli do troppa acqua, rischio di farlo appassire, se gliene offro troppo poca, morirà. Fuori di metafora, se non ascolto con empatia, accettazione e, appunto, congruenza ciò che vuol trasmettere il bambino, non riuscirò come genitore a comprendere i suoi bisogni e desideri: il rischio è di anticipare, mettendo un tappo (saturare), ciò di cui necessita piuttosto che divenire sordo ai suoi richiami e non capire quando e come desidera essere supportato nel suo processo di crescita. Non riesco, insomma, a fermarmi in una posizione di ascolto, di sospensione, ma ho un bisogno impellente di agire e risolvere il problema. Per comprendere meglio faccio l'esempio del bambino che impara a camminare: se ho per prima paura che si faccia male, e non simbolizzo correttamente questa esperienza, non lo lascerò libero di sperimentare come "esperienza fresca e nuova" (ivi) e stimolante quella di imparare con le proprie gambe a camminare, con le inevitabili cadute e, se necessario, con dolore. Gli darò sempre la mano, gli dirò sempre "stai attento!", "Non ti sporcare!". Oppure, lo lascerò andare così lontano e rischierò che si faccia seriamente male, tanto da non sopportarne, davvero, il dolore. Andrò da un estremo di ipercura ad un altro di incuria. Da qui, la congruenza del genitore rispecchia il poter farsi da parte, il poter so -stare nell'incognita del "come andrà?", in modo attento e responsabile: un genitore che accompagnerà il suo bambino nel processo di autonomia, stando al suo fianco, né troppo davanti, né troppo addietro, nonostante si abbia naturalmente paura dell'imprevedibilità.
In tal senso, congruenza significa sentirsi, per primi impauriti e fragili, senza distorcere questa esperienza, al fine di non agirla sul bambino. Ciò può avvenire solo nel momento in cui, il genitore senta in se la fiducia che, nonostante questa naturale fragilità, possa essere e, soprattutto, comunicare, in modo chiaro e assertivo, la sua saldezza, attraverso sani limiti a comportamenti inaccettabili, essenziali per una crescita libera e responsabile. Il saper dire con fermezza "NO!", quando necessario offre un chiaro messaggio di sicurezza al bambino, perché sa che può fidarsi di un adulto reale, fragile, ma anche saldo. Ma la congruenza risulta essere necessaria anche nel processo di autonomia del bambino, come ad esempio, come lo svezzamento, il controllo sfinterico e l'ingresso a scuola. In quest'ultimo caso, può succedere che il bambino faccia resistenza a rimanere all'asilo. Inizia a piangere, stringervi forte e non vi vuole lasciare andare. Modalità che notate si ripete ad ogni occasione. In questo caso, tolte circostanze oggettive accertate di paura (bullismo, maltrattamenti, eventi di vita che hanno investito il bambino...), se l'empatia e l'accettazione consentono di comprendere il sentimento sottostante a questi comportamenti (paura del distacco?, sconforto?...), la congruenza, ovvero la saldezza genitoriale, che il bambino recepisce attraverso l'atteggiamento del genitore, gli permette di rendersi, pian piano, autonomo e più sicuro nello sperimentare le novità. Se non predominasse, in questo caso, la congruenza come limite, il genitore, da un lato non riuscirebbe ad entrare in contatto, in modo autentico, con la propria di paura ed angoscia, proiettandole, da qui, sul bambino, e dall'altro l'empatia, da "come se" (Rogers, 1962) diventerebbe identificazione con l'angoscia del figlio, non permettendo un ascolto attento e sensibile di ciò che realmente sta comunicando sia il suo organismo che quello del bambino. In tal senso, M. L. Von Franz, analista junghiana, nel suo libro "Il Femminile nelle Fiabe" (trad. it., 2007), per far comprendere il rischio di un'educazione colludente con il bambino, descrive, da un punto di vista naturalistico, come le volpi tendano a mordicchiare i loro cuccioli, quando sentono che è arrivato il momento del distacco ma questi non hanno nessuna intenzione a diventare autonomi. Traslato a noi esseri mortali, dobbiamo chiederci, come genitori, se possiamo permetterci di mostrare la nostra autorevolezza, intesa come autenticità fallibile e reale: come esseri umani che, per primi soffrono e si sentono fragili, ma che, proprio grazie alla possibilità di sentire questa parte di sé, posso mostrarsi solidi e fermi, quando necessario. Questo perché "Esiste un curioso paradosso. Quando mia accetto così come sono, allora posso cambiare" (Rogers, 1980).

© Francesca Carubbi

mercoledì 13 settembre 2017

il bambino in un'ottica rogersiana: l'esempio della gassosa

Nella letteratura rogersiana, il bambino rappresenta la metafora dell'innata Saggezza Organismica, che sta alla base dell'autenticità o congruenza della persona. In "Terapia Centrata sul Cliente" del 1951, nel capitolo dedicato alla Teoria della Personalità, Rogers descrive così la capacità di attingere alla propria saggezza organismica, da parte del bambino: "Il bambino molto piccolo valuta senza incertezze...Egli valuta positivamente le esperienze vissute che lo arricchiscono e valuta negativamente le esperienze che invece lo minacciano o comunque non lo preservano e non lo arricchiscono" (ivi; trad. it., pag. 361). Un bambino, in altri termini, capace di simbolizzare correttamente la propria esperienza senza distorcerla. Tuttavia, la capacità di valutazione organismica del bambino risentirà, spesso in modo condizionato e negativo, dell'influenza dell'ambiente circostante. In tal senso, Rogers fu molto sensibile nel cogliere la profonda influenza dell'ambiente nello sviluppo del bambino: nel primo capitolo di "On Becoming a Person" del 1961, This is Me" (trad. it., -  "La Terapia Centrata sul Cliente" "Questo sono io. Lo sviluppo del mio pensiero scientifico e della mia filosofia personale"), l'Autore, in modalità autobiografica, descrive come il suo ambiente, la sua educazione, le sue esperienze formative e di contatto umano, abbiano influito in modo preponderante nella sua filosofia delle relazioni umane e, da qui, nella sua visione della Persona. In tal senso, appare molto emblematico, per ciò che concerne la descrizione del rigido stile educativo in cui è vissuto, il ricordo riguardante la scoperta del piacere nel bere una gassosa: piacere, questo, percepito in modo trasgressivo! Quindi soggetto a biasimo e giudizio da parte dell'ambiente familiare. Come a dire: il piacere, ad esempio, di bere una bevanda gassata è vissuta dal bambino come un qualcosa di positivo e piacevole. Ma cosa succede se il bere una gassosa è concepito dai genitori come un qualcosa di peccaminoso e non accettabile? Ed è proprio la consapevolezza da parte del bambino di poter perdere l'amore genitoriale, che fa sì che questi inizi a fare "l'esperienza di parole e di azioni dei genitori a proposito di questi suoi comportamenti...che possono essere così parafrasate: <Sei cattivo, il tuo comportamento è cattivo e tu non sei amato o amabile quando ti comporti così>." Questi giudizi rappresentano un profondo senso di minaccia per il nascente Sé del bambino, in quanto creeranno, in questi, un conflitto interno: se, infatti, il bambino farà accedere alla coscienza la soddisfazione, in questo caso, di provare piacere nel bere una gassosa, questo consapevolezza organismica andrà in contrasto con i dettami e, soprattutto, valori genitoriali, come ad esempio: "la gassosa fa male, berla è un qualcosa di trasgressivo...". Da qui, nel bambino emergeranno due conseguenze (ivi, 1951):
immagine dal Web
dal titolo "
1. Verranno negate alla consapevolezza queste sensazioni piacevoli;
2. Ci sarà una simbolizzazione non corretta e distorta dei vissuti (dettami e valori) dei genitori: "la simbolizzazione corretta sarebbe la seguente: <Sento che i miei genitori stanno giudicando questo comportamento insoddisfacente per loro>. La simbolizzazione distorta, alterata allo scopo di preservare il concetto di sé minacciato è: <Io concepisco questo comportamento come insoddisfacente>".
Da qui, per non perdere l'accettazione da parte dei genitori, il bambino apprenderà progressivamente a far propri i valori della sua famiglia, i quali verranno vissuti come proprie sensazioni viscerali e organismiche e non come atteggiamenti dei propri genitori: si formerà così la Struttura del Sé, intesa come la "configurazione organizzata dalle percezioni del sé che possono accedere alla coscienza" (ivi; trad. it., pag. 363), ossia l'insieme delle proprie percezioni e delle rappresentazioni di sé, le quali si baseranno sui costrutti, valori, sentimenti, dettami e comportamenti dei genitori che vengono distorti in modo che vengano vissuti come propri (in tal senso, il bambino, prima, e l'adulto, poi, si sforzeranno di intercettare, negare e distorcere le esperienze provenienti dalla propria autentica valutazione organismica, perché minacciose per l'equilibrio o grado di coerenza interna del proprio Sé: se il bambino e l'adulto permettessero, in altri termini, di far emergere alla coscienza o di simbolizzare correttamente la propria esperienza vissuta, antitetica ai valori genitoriali, proverebbero un profondo stato di ansia, a causa della nascente incongruenza tra i vari stati del suo sentire).
Se, al contrario, il genitore offrisse una relazione caratterizzata da empatia, accettazione ed autenticità, la rappresentazione che il bambino ha di sé e l'esperienza organismica non sarebbero in conflitto, giacché sarebbero tra di loro sovrapponibili: prendendo l'esempio, di cui sopra, il bambino apprenderebbe, senza distorcerne il vissuto, di poter provare piacere nel bere una gassosa, senza paura di un rifiuto o biasimo genitoriale. La sua rappresentazione di sé, oltre a non sentirsi minacciata a causa di un conflitto di valori, sarebbe coerente con i suoi vissuti viscerali e quindi non costruita su distorsioni dei valori altrui e sulla loro conseguente introiezione.

Bibliografia essenziale

C.R. Rogers (1951), Client Centered Therapy, Houghton Mifflin Company Boston, (trad. it. La Terapia Centrata sul Cliente, La Merdiana, Molfetta (BA), 2007);

C.R. Rogers (1961), On Becoming a Person CAP. I, Houghton Mifflin Company Boston, (trad. it., La Terapia Centrata sul Cliente, Martinelli, Firenze, 1994)


© Francesca Carubbi

venerdì 28 luglio 2017

La consulenza educativa con genitori e figli: il sintomo del bambino come un "perché"

La consulenza educativa consiste in uno specifico percorso (max 6/8 sedute), atto, in primo luogo, ad accogliere il malessere del bambino riportato dai genitori, e, soprattutto, di osservare, attraverso un ascolto, empatico, non giudicante ed autentico, come questo malessere, sotto forma di specifico sintomo, vada a collocarsi all'interno delle dinamiche familiari e di coppia. In parole concrete, sovente i sintomi del bambino, spesso fonte di angoscia per i genitori, sono portatori di significati circa una particolare modalità comunicativa, affettiva e relazionale che caratterizza, in modo non funzionale, quel nucleo familiare, in modo soggettivo ed irripetibile. Ad esempio, un bambino bloccato nelle sue paure, potrebbe aver appreso, in modo inconsapevole, come questa emozione, se espressa in modo fobico, possa far sì che i genitori non si separino da lui. O, al contrario, sempre come ipotesi, la paura/ fobia potrebbe essere un messaggio per genitori troppo iperprotettivi, che tendono a pressare il bambino emotivamente, lasciandogli poco spazio di sana autonomia. In altri termini, questo piccolo esempio vuole mostrare come un sintomo possa portare con sé determinati significati all'interno di relazioni familiari e di coppia. In tal senso, scopo della consulenza educativa è quello di offrire uno spazio di ascolto, non solo per i genitori, ma anche per il bambino stesso: lo spazio accogliente e sicuro permette al bimbo di sperimentare e dar voce al proprio malessere, attraverso il proprio peculiare linguaggio, fatto non solo di parole, bensì di strumenti di comunicazione per lui più confacenti, perché più concreti e fruibili, ma, allo stesso tempo, ad altro contenuto simbolico e proiettivo, delle proprie angosce: disegni, fiabe, pupazzi, marionette... Tutti oggetti che possono essere modellati e, soprattutto, fatti parlare, fatti emozionare. Preziosi oggetti transizionali per il bambino, soprattutto per quei bambini più spaventati, bloccati o estremamente timidi. Da qui, è importante che lo psicologo divenga esso stesso oggetto e contenitore di quei pensieri ed emozioni, così difficili da pensare, sperimentare e nominare. Diviene imprescindibile, allora, una capacità di regressione, di contaminazione e di apertura verso queste paure, perché parlano del terapeuta stesso. Se, infatti, questi si sentisse a disagio rispetto a determinati vissuti, il bambino non potrebbe sentirsi sicuro nell'esplorarli a sua volta. Inoltre, l'aspetto che mi preme sottolineare è che, spesso, i genitori portano in seduta profondi sentimenti di inadeguatezza e di colpa rispetto a ciò che sta succedendo loro, accompagnati da senso di smarrimento e di impotenza: il sintomo è visto come un perturbante, che provoca ansia, una triste novità, una crepa incomprensibile, rispetto al proprio pregresso equilibrio o al proprio precedente stato di coerenza interna, (Rogers, 1951) familiare nonché di coppia. Il terapeuta, allora, ha il compito di facilitare il "canto" del sintomo, ciò che ha da dire, al fine di poterne restituire il contenuto ai genitori che hanno chiesto aiuto, poiché per loro indecifrabile: potere restituire un senso alla coppia genitoriale, privo di colpevolizzazioni, permette ai genitori di comprendere il perché di ciò che sta avvenendo, facilitando in loro

l'apprendimento di nuove modalità relazionali, più funzionali,  all'interno della famiglia

lunedì 12 giugno 2017

Educazione Centrata sulla Persona

"Deploro la maniera in cui, fin dai primissimi anni, l'educazione determina nel bambino una scissione: la mente può andare a scuola, mentre il corpo ha il permesso tutt'al più di accompagnarla; i sentimenti e le emozioni, poi, possono vivere liberamente ed espressivamente solo all'esterno della scuola...non solo è possibile che sia tutto il bambino ad andare a scuola, con i suoi sentimenti e la sua intelligenza, ma... con ciò l'apprendimento è perfino migliore"

C. Rogers, (1980), "A Way of Being", 1980, trad. it., pag. 217

immagine (dal web)


venerdì 26 maggio 2017

I bambini possono "sbucciarsi" ancora le ginocchia?: per un'apertura all'esperienza. Alla vita piena


 "Tutto quel che sono è sufficiente, se solo riesco ad esserlo"
C. Rogers


Sembra un titolo provocatorio. Ma non lo è. E' un partire da ricordi. Da mei ricordi personali, di bambina, a cui piaceva l'odore dell'erba, che si divertiva a giocare nei campi di grano, che raccoglieva vermiciattoli dalla terra, che si arrampicava su quel moro, casa di mille avventure, e si sporcava il vestitino buono. Un'infanzia di avventure, di vivacità, di litigate con gli amici, ma di tanta, tanta curiosità. Un'infanzia piena di ammaccature, di graffi alle ginochhia, di sorrisi, di lacrime e offese. Soprattutto un'infanzia di gioco, di creatività. E' da qui che voglio partire: dall'importanza, per un bambino, di poter sperimentare anche il dolore di quelle cadute, la frustrazione della sconfitta, del non arrivare sempre primo. L'importanza dell'attesa, di lottare per i propri desideri, per i propri obiettivi. Lo sbuccio alle ginocchia, lo vedo una metafora della vita, di ciò che è in realtà: un sali e scendi, un'apertura all'esperienza di cui non possiamo sapere la fine. Una direzione e non una destinazione. Una complessità di valori e vissuti emotivi, non sempre intrisi di felicità, ma anche di sofferenza, di inciampi, appunto. Una "vita piena" (Rogers, 1961). Affinché un bambino possa apprezzare il valore di un'esistenza complessa, non sempre coerente, controllabile, ma sempre cangiante, sempre differente, sta proprio al genitore, per primo, accettarne le mille sfaccettature. Accettare il fatto che ci si fa anche un po' male per imparare e che, soprattutto, la propria visione della vita sarà sempre diversa da quella del proprio figlio: perché si è diversi l'uno dall'altro. Perché ognuno di noi dà un significato personale a ciò che vive.  Al genitore, allora, spetta l'arduo compito di  stare in quella posizione, difficile ma molto arricchente, quale quella della congruenza: una saldezza interiore, una "funzione paterna" limitante (anche con se stessi) che permetterà l'esternarsi di profonda  empatia ed autentica accettazione, non "possessive" e soffocanti (Rogers, 1961). Una posizione che permetta l'accettazione del bambino e dei suoi vissuti e che riesca, in modo sufficiente, a distinguere e rispettare il desiderio importante ed autentico del bimbo di voler aprirsi alla propria esperienza, in modo totale, che possa apprendere da essa, attraverso l'unione di idee e sentimenti.(Rogers, 1977; Bruzzone, 2006). Spetta al genitore di tollerare la rabbia di un vestito sporco, lo spavento davanti al pianto di dolore del bambino, senza spaventarlo più del necessario, ma ascoltando il significato di quelle lacrime, dare loro dignità. Spetta al genitore, quando necessario, non accettare, in modo fermo e deciso un comportamento, appunto, inaccettabile, senza perdere di vista la fondamentale distizione (sovente dimenticata) tra la persona e ciò che fa.  Spetta al genitore di accettarsi per ciò che è, di apprendere dai propri inevitabili e umani errori ed apprendere da essi. Spetta al genitore di essere genuinamente autentico con se stesso, di perdonarsi, di accettare la propria fragilità, le proprie giornate "no", i propri momenti di rabbia e di sconforto. Solo accettando anche i nostri lati che non amiamo, compresi quelli riguardanti la nostra infanzia, la nostra umanità, possiamo divenire congruenti, accettanti
ed empatici con i nostri figli, facilitando la loro Tendenza Attualizzante.
Per riassumere: "Ci accorgiamo che è molto difficile permettere ai nostri figli...di pensare in modo diverso dal nostro a proposito di certe questioni e certi problemi...Eppure sono arrivato a rendermi conto che l'alterità della singola persona, il diritto cioè che ciascuno ha di interpretare come crede la propria esperienza e di trovare in essa i propri valori, è una delle potenzialità più preziose della vita". (C. Rogers, trad. it., 39)

(immagine dal web)

giovedì 20 aprile 2017

Fiabe e Terza Età: un incontro tra generazione per integrare il proprio sé.

"Invecchiando, io rivelo il mio carattere, non la mia morte [...]"
James Hillman

L'incontro tra generazioni, nello specifico tra bambini ed anziani, è una realtà conosidata in alcuni Comuni italiani: Case di Riposo hanno aperto le porte all'infanzia, al fine di una proficua trasmissione intergenerazionale, non solo di esperienze, da parte di chi è più maturo, bensì di preziosi contenuti emozionali, che promuovono, attraverso lo scambio di parole, lo sviluppo dell'intersoggettività nei più piccoli (ovvero la capacità di saper mentalizzare lo stato emotivo e cognitivo dell'altro), quindi dell'empatia, risosra fondamentale per la nascita del rispetto, della collaborazione e cooperazione comunitaria (come insegna la Danimarca, dove l'empatia si insegna già nelle scuole primarie). Cosa meglio delle fiabe, allora? La fiaba, grazie al suo linguaggio concreto, semplice e di facile comprensione, aiuta il bambino a comprendere le emozioni, anche quelle più paurose e minacciose, grazie all'identificazione con i Personaggi che le rappresentano e gli permette di apprendere come affrontare, grazie alle proprie competenze cognitive ed emotive (resilienza, capacità comunicativa, contatto autentico con le proprie emozioni e capacità di nominarle, senso di autoefficacia, problem solving...), le varie sfide quotidiane (Zucconi, Howell, 2003). Nello specifico, le fiabe popolari, le filastrocche, le nenie poplari di un passato non troppo remoto, raccontate da chi quelle fiabe le ha vissute e con le quali è cresciuto, consente ai bambini di arricchirsi di una propria storia culturale, delle proprie radici sociali: permette di riconoscersi e di appropriarsi della propria storia e, quindi, della propria identità.
Inoltre, l'incontro permette ai bambini di apprendere l'importanza del valore del rispetto, grazie all'ascolto del "vecchio cantastorie" che rappresenta, non troppo figuralmente, il Saggio, il portatore di relazioni basate non solo sul senso dell'affettività, bensì del limite (senso del limite che diviene imprescindibile nello sviluppo del bambino) e alle  persone anziane di sentirsi protagonisti e proattivi, rafforzando il loro senso di appartenenza sociale e scongiurando la loro solitudine.
Come ci ricorda Abraham Maslow, uno dei capostipiti della Psicologia Umanistica, infatti, tra i bisogni fondamentali dell'Uomo vi sono quelli di Appartenenza e di Realizzazione di sé. Da qui, sappiamo bene come la Terza Età sia un momento delicato di passaggio, di un vero e proprio lutto di aspetti della propria vita: pensionamento, andropausa e menopausa, decadimento cognitivo (fisiologico o derivato da Disturbi Neurocognitivi), mutamenti fisici... Tutti aspetti che ci pongono, inevitabilemente, interrogativi su chi siamo stati, su chi siamo attualmente e su chi saremo in futuro. In tal senso, nonostante la vecchiaia possa sembrare ed essere vissuta come fragile, precaria e stagnante, Erik Erikson ci ricorda come un compito evolutivo dell'anziano sia proprio quello di affermare la propria vita, riconsiderarla con valore (Feil, 1996): "l'integrità della vecchiaia significa saper riconoscere le proprie forze nonostante la debolezza" (ibidem, trad. it. 2013, pag. 41).

venerdì 14 aprile 2017

Studio Daimon - Consulenze educative genitoriali


Presso lo Studio si effettuano consulenze educative genitoriali, riguardanti i seguenti temi:


- Difficoltà emotivo - relazionali del bambino;

- Conflitti familiari, cambiamenti di vita traumatici ed impatto sul bambino;

- Il bambino e la malattia;

- Difficoltà relative alle tappe di sviluppo del bambino;

- Regole e limiti;

- Ascolto attivo (autentico, accettante ed empatico);

- L'utilizzo del gioco e delle fiabe come strumenti facilitanti lo sviluppo del bambino;

- Prevenzione dei comportamenti a rischio - Parent Training  (bullismo, cyberbullismo, rischio di comportamenti di abuso e dipendenza...);

- Disagio adolescenziale.