lunedì 28 ottobre 2019

Se il Dolore "pesa" un grammo ...

cuore spezzato Si può pesare il dolore? Esiste una misura in grado di dire quando è normale soffrire e quando, al contrario, no? Chi può decidere cosa sia degno di un pianto, di una disperazione, di un affondo? Chi può essere il Giudice Supremo nel definire, una volta per tutte, per cosa ci possiamo sentire atterriti, privi di terra sotto i piedi?
Si dice tante volte ai bambini di non piangere, di trattenere le lacrime per tutto ciò che ci appare come sciocchezza. E l’aspetto più tragico di tutta questa faccenda, è che mettiamo tutto sotto una lente di ingrandimento, soppesando il livello per cui valga la pena offrire, o meno, una lacrima… “Allora… hai perso un giocattolo…Mhhh…Non credo sia la fine del mondo… Non piangere!... Pensa a chi è più sfortunato di te!”
“Pensa a chi è più sfortunato di te!”. Non ho mai trovato nella mia esperienza una frase più lapidaria e giudicante  di questa. Perché? In primis, perché si presume che io, adulto, ne sappia molto più di te, bambino. Perché ho l’ultima parola sulla dignità del tuo groppo in gola che, magari con un gesto sfrontato della mano, lo liquido come un mero e sciocco capriccio. Perché non rispetto il tuo sentire, calpesto la tua fiducia organismica (Rogers, 1951). Perché veicolo il messaggio, non troppo implicito, che il Dolore, unico, soggettivo e irripetibile,  è una fetta di formaggio che si pesa a grammi. Tuttavia, la sofferenza di ognuno di noi non può essere paragonata ad una fetta, più o meno sottile, di salame.
Perché succede questo? Perché siamo certissimamente convinti, o più probabilmente perché per primi ne abbiamo paura, che sia meno doloroso e sopraffacente pensare che il dolore, appunto, abbia tante sfumature, possa essere controllato, parcellizzato, sfilettato e, se necessario, inibito: vedere un bambino piangere, soffrire, inevitabilmente, ci porta a contattare il nostro di groppo in gola, la nostra primaria difficoltà e/o impossibilità a dare la giusta dignità alla nostra sofferenza. In altre parole, la nostra incongruenza (Rogers, 1957) non facilita l’emersione autentica delle sfumature emotive, nostre e quelle dei nostri bambini.
Allora, se vogliamo davvero aiutare i nostri piccoli a non vergognarsi e sentirsi in colpa delle loro lacrime, smettiamo di ritenere che il dolore sia una misura oggettiva e uguale per tutti. Ma per fare ciò, occorre che noi, per primi, iniziamo a scavare nella nostra memoria per trovare quelle lacrime e quei singhiozzi strozzati e incompresi da troppo tempo. Perché ognuno di noi sa, in quanto agente profondamente saggio (Rogers, 1951), quale sia il “reale peso” della propria sofferenza.
©Francesca Carubbi
psicologa e psicoterapeuta rogersiana
Autrice
www.psicologafano.com