venerdì 28 luglio 2017

La consulenza educativa con genitori e figli: il sintomo del bambino come un "perché"

La consulenza educativa consiste in uno specifico percorso (max 6/8 sedute), atto, in primo luogo, ad accogliere il malessere del bambino riportato dai genitori, e, soprattutto, di osservare, attraverso un ascolto, empatico, non giudicante ed autentico, come questo malessere, sotto forma di specifico sintomo, vada a collocarsi all'interno delle dinamiche familiari e di coppia. In parole concrete, sovente i sintomi del bambino, spesso fonte di angoscia per i genitori, sono portatori di significati circa una particolare modalità comunicativa, affettiva e relazionale che caratterizza, in modo non funzionale, quel nucleo familiare, in modo soggettivo ed irripetibile. Ad esempio, un bambino bloccato nelle sue paure, potrebbe aver appreso, in modo inconsapevole, come questa emozione, se espressa in modo fobico, possa far sì che i genitori non si separino da lui. O, al contrario, sempre come ipotesi, la paura/ fobia potrebbe essere un messaggio per genitori troppo iperprotettivi, che tendono a pressare il bambino emotivamente, lasciandogli poco spazio di sana autonomia. In altri termini, questo piccolo esempio vuole mostrare come un sintomo possa portare con sé determinati significati all'interno di relazioni familiari e di coppia. In tal senso, scopo della consulenza educativa è quello di offrire uno spazio di ascolto, non solo per i genitori, ma anche per il bambino stesso: lo spazio accogliente e sicuro permette al bimbo di sperimentare e dar voce al proprio malessere, attraverso il proprio peculiare linguaggio, fatto non solo di parole, bensì di strumenti di comunicazione per lui più confacenti, perché più concreti e fruibili, ma, allo stesso tempo, ad altro contenuto simbolico e proiettivo, delle proprie angosce: disegni, fiabe, pupazzi, marionette... Tutti oggetti che possono essere modellati e, soprattutto, fatti parlare, fatti emozionare. Preziosi oggetti transizionali per il bambino, soprattutto per quei bambini più spaventati, bloccati o estremamente timidi. Da qui, è importante che lo psicologo divenga esso stesso oggetto e contenitore di quei pensieri ed emozioni, così difficili da pensare, sperimentare e nominare. Diviene imprescindibile, allora, una capacità di regressione, di contaminazione e di apertura verso queste paure, perché parlano del terapeuta stesso. Se, infatti, questi si sentisse a disagio rispetto a determinati vissuti, il bambino non potrebbe sentirsi sicuro nell'esplorarli a sua volta. Inoltre, l'aspetto che mi preme sottolineare è che, spesso, i genitori portano in seduta profondi sentimenti di inadeguatezza e di colpa rispetto a ciò che sta succedendo loro, accompagnati da senso di smarrimento e di impotenza: il sintomo è visto come un perturbante, che provoca ansia, una triste novità, una crepa incomprensibile, rispetto al proprio pregresso equilibrio o al proprio precedente stato di coerenza interna, (Rogers, 1951) familiare nonché di coppia. Il terapeuta, allora, ha il compito di facilitare il "canto" del sintomo, ciò che ha da dire, al fine di poterne restituire il contenuto ai genitori che hanno chiesto aiuto, poiché per loro indecifrabile: potere restituire un senso alla coppia genitoriale, privo di colpevolizzazioni, permette ai genitori di comprendere il perché di ciò che sta avvenendo, facilitando in loro

l'apprendimento di nuove modalità relazionali, più funzionali,  all'interno della famiglia