domenica 10 ottobre 2021

Fiaba e psicoterapia al femminile: come l'antagonista facilita la congruenza di sentimenti difficili


 In psicoterapia, sto ascoltando diverse donne. Ognuna con la sua storia particolare, unica e irripetibile.

Ciononostante, ogni loro diversa esperienza si connota di un unico denominatore: la necessità di preservare, a mo’ di coerenza interna (Rogers, 1951), la propria anima bella.

Essere donna significa, per loro, essere forti, sempiterne accoglienti e accettanti.

Soprattutto, mai arrabbiate. Mai scomode. Mai voce fuori dal coro.

Di queste donne, mi ha profondamente colpito, tra le altre cose, la loro capacità di razionalizzare e, come direbbe Pinkola Estes (1992), di banalizzare il male. Ciò che non funziona. Ciò che non può essere accettato per la propria fioritura.

E poi, in psicoterapia, succede…

Succede che, grazie alle tre condizioni necessarie e sufficienti (Rogers, 1957), la donna riesca, seppur con timore, ad accedere e a dare fiducia al proprio Alter Ego; alla sua parte Ombra; all’indicibile; a tutti quei sentimenti che, al di fuori, non possono essere accettati.

Rabbia, gelosia, invidia… Sentimenti che fanno parte di tutti noi ma che evocano vissuti di paura e di biasimo.

Personalmente, quando percepisco tra le righe la presenza di questi vissuti difficili - Rogers, in tal senso, ci fa apprendere come l'empatia sia anche l’ascolto di ciò che non viene esplicitato in modalità verbale -, cerco di facilitare la loro integrazione cognitiva, in modo congruente o autentico (ibidem), con la fiabe: nello specifico, con le fiabe tradizionali, non edulcorate ma autenticamente vere.

Da qui, tra tutte le funzioni della Fiaba (Propp, 1926), la figura dell’antagonista è quella più efficace. Perché le donne hanno bisogno di dare voce a ciò che è percepito come estraneo, perché considerato mostruoso e indegno (Doyle, 2021), ma così connaturato in ognuno di noi. E l’antagonista fa proprio questo: è, per natura, oscuro e infido e il suo scopo è mettere i bastoni tra le ruote alla nostra Tendenza Attualizzante (Rogers, 1980). 

Non è, forse, ciò che ci arreca il sintomo? Non è il sintomo, di cui soffriamo, proprio colui che vuole sbarrare la strada al nostro sviluppo? Non è forse proprio quella parte di noi che cerca di autosabotarsi? Che si traveste, sotto falso nome, per ingannarci, proprio come l’antagonista? E non è forse scopo della psicoterapia di smascherarlo?

 In tal senso, se è vero che “i personaggi delle fiabe [...] sono figure eteree e trasparenti” (M.T. Orsi (a cura di), 1998), è altrettanto fondato il fatto che è proprio la loro trasparenza a conferire loro la caratteristica di essere oggetti di evocazione emotiva e, quindi, di identificazione empatica (Carubbi, 2019): il dar voce al proprio antagonista interiore, grazie alla risonanza emotiva con quello fiabesco, permette di integrare sempre più, in modo congruente, le parti di sé negate e distorte (Rogers, 1951), ai fini di una maggior sovrapposizione tra il sé ideale e sé reale (ibidem) e, da qui, di una percezione di sé più realistica: come ci insegna Rogers (1961) in noi esiste un curioso paradosso, in quanto più ci accettiamo, più possiamo cambiare.

Per fare un esempio, il racconto di una mia cliente, molto razionale, nel descrivere la sua invidia, nata durante un’occasione conviviale, mi ha fatto immaginare lei nelle vesti della tredicesima fata de “La Bella Addormentata” (Grimm, 1812 - 15), esclusa dal pranzo reale.

Costei, infatti, ben rappresenta ciò che definiamo invidia: lo smacco, l’esclusione, il minus derivato da un doloroso confronto.

Fu un’intuizione felice che permise una maggiore esplorazione di questo sentimento così politicamente scorretto: l’identificazione con la fata ha permesso, in altri termini, di entrare nella propria Saggezza Organismica (Rogers, 1951) e darle voce con meno paura.

Le fiabe, allora, possono essere uno strumento funzionale per aiutare l’emersione di ciò che abbiamo negato alla coscienza, perché qualcuno prima di noi ha dato umana voce a tutto questo.


Francesca Carubbi

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domenica 3 ottobre 2021

Zio Lupo: una fiaba tradizionale non edulcorata per l’accettazione dei sentimenti difficili e lo sviluppo dell’ empatia nei bambini

 


“Zio Lupo” è una fiaba popolare romagnola la cui caratteristica principale è l’assenza del classico lieto fine.

La fiaba, infatti narra la vicenda di una bimba così golosa che chiede a Zio Lupo di prestarle una padella per cucinare le frittelle.

 

Zio Lupo presta la padella a condizione che la bimba gliene offra una parte.

Tuttavia la golosità della bambina è tale che questa mangerà anche la parte del Lupo: “Allora, per riempire la padella, raccolse per strada delle polpette di somaro”.


Zio Lupo, accortosi della truffa, si vendicherà mangiando la bambina:

“- Mamma mamma c’è il lupo!

  • Nasconditi sotto le coperte!

  • Adesso ti mangio! Sono nel focolare!

La bambina si rincantucciò nel letto, tremando come una foglia.

  • Adesso ti mangio! Sono nella stanza!

La bambina trattenne il respiro.

  • Adesso ti mangio! Sono ai piedi del letto! Ahm. che ti mangio! - E se la mangiò.”


 Questo finale particolare, anche se non propriamente felice, può, tuttavia, facilitare nel bambino profondi apprendimenti:

  1. In primis, l’identificazione del bambino con il Lupo permette una sublimazione non solo della propria spinta aggressiva, bensì di tutte le emozioni ad essa correlate: rabbia, gelosia, odio… Pensiamo, ad esempio, alla nascita di un fratellino o sorellina, o ad un litigio tra bimbi, o ancora ad un conflitto familiare… Le emozioni, in tal senso, divengono dicibili, comunicabili, narrabili e digeribili. Grazie ai personaggi, da terrificanti ed estranee, diventano autentiche, perché profondamente vere, reali, quindi umane.

  2. Attraverso la fiaba, quindi, il bambino può dare spazio, in modo saggio, alla propria saggezza organismica (Rogers, 1951), senza censure né biasimi e, allo stesso tempo, apprendere che non tutti i comportamenti possono essere accettati nè permessi: l’accettazione delle emozioni, in altri termini consente al bambino sia di non sentirsi sbagliato sia di comprendere l’importanza di una libertà responsabile, ossia contraddistinta da sani limiti: il bambino apprende, così, l’importanza dell’empatia, dell’incontro “Io - Tu” che può avvenire solo nel momento in cui si rinuncia ad una parte del proprio narcisismo, quest'ultimo ben rappresentato dalla golosità della bambina

  3. Infine, il bambino, da un punto di vista sociale e culturale, apprende che i pregiudizi e gli stereotipi, se non messi in discussione, possono divenire dei veri e propri costrutti rigidi e immodificabili (Rogers, 1951), in quanto mostrano la realtà attraverso una ferrea dicotomia “bianca o nera”: il fatto che il Lupo sia, in fin dei conti la “vittima” dell’inganno, permette al bimbo di interrogarsi sul Bene e Male in termini assai più complessi e, soprattutto, intercambiabili; come a dire: nessuno è totalmente buono o cattivo ma la luce e l’oscurità fanno parte di tutti noi.



Francesca Carubbi
Psicoterapeuta
Autrice
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